di Nicola Salati
CAPACCIO | Ha deposto ieri in aula la donna che, con le sue rivelazioni, fece scagionare Armando Tomasino dalle accuse sulla sparatoria del 2005 a Capaccio e, soprattutto, relative al possesso di un grosso quantitativo di armi rinvenute nel laboratorio dell’uomo che, a gennaio del 2012, è stato ucciso nella sua abitazione di via Fravita ad Albanella insieme alla compagna Maria Francesca Lamberti. Ieri in aula presso il tribunale di Salerno, al processo che vede imputato Antonio Di Poto, la donna ha dovuto rispondere alle domande della difesa dell’uomo, assistito dall’avvocato Maurizio Mastrogiovanni, che ha sottolineato le incongruenze delle risposte offerte dalla stessa. Secondo i difensori, infatti, le dichiarazioni della donna sono da ritenere inattendibili in quanto, la stessa, avrebbe nel corso di qualche anno mutato la versione dei fatti in merito al possesso delle armi e sulla sparatoria che ebbe luogo a via Capo di Fiume di Capaccio nel 2005 e che avrebbe visto coinvolti proprio Di Poto e Tomasino, al culmine di un litigio dovuto a ragioni che sarebbero da ricondurre a motivi passionali. La stessa donna, infatti, avrebbe dichiarato come sarebbe stata lei stessa a portare le armi nel garage di Tomasino.
LE RAGIONI DEL GESTO | Lo avrebbe fatto perché sarebbe stata ricattata dallo stesso Di Poto. Il clou della deposizione della donna, infine, ha riguardato la paternità del figlio. La signora, infatti, aveva dichiarato che il bimbo - che oggi ha sette anni - era figlio di Tomasino. Ma poi, ieri mattina, ha detto ai giudici che il piccolo vive con il padre. Una rivelazione che, evidentemente, è risultata incongruente dato che, se fosse vero il fatto che il bimbo è figlio di Tomasino, quest’ultimo per ovvie ragioni non potrebbe vivere con lui, dato che all’inizio del gennaio dell’anno scorso è stato ucciso. Proprio sulla vicenda legata alla paternità del piccolo è legata buona parte della strategia difensiva di Di Poto che tende a far dichiarare insussistenti e contraddittorie le rivelazioni della donna. In prima battuta quella che, negli anni passati, indusse la magistratura ad archiviare il procedimento penale intentato proprio contro il robivecchi di via Fravita ad Albanella. La vicenda giudiziaria, adesso, rischia di incrociarsi sempre più da vicino con quella relativa al duplice omicidio del 2012. Esclusa nettamente l’ipotesi che le dinamiche possano essersi intrecciate, rimane il fatto che l’evolversi dei due distinti procedimenti serviranno per tracciare un ritratto solido dell’uomo in grado di renderne più nitida la figura e, con ciò, facilitare l’evolversi di entrambi i processi.
Martedì 5 marzo 2013
© Riproduzione riservata
1210 visualizzazioni